L’agnella e la lupa (uno)

La versione nota della storia – di cui è inutile dare qui resoconto – evidenzia, già dal titolo, traccia di rimaneggiamenti successivi che ne hanno travisato il senso. Non si capisce, infatti, perché debba destare interesse in qualcuna/o una storia di ordinaria violenza sui minori, per quanto correlata da giustificazioni più o meno pretestuose. Più credibile appare l’ipotesi che amanuensi di varia provenienza e impostazione culturale, ma analogamente abituati ad occuparsi del genere più ovvio, abbiano compiuto una serie di pasticciati traslati, al solo fine di rendere accettabile al senso comune – del solito genere ovvio – una vicenda altrimenti incomprensibile.

Il calcolo delle probabilità, unito all’osservazione di alcuni indicatori precisi, fa piuttosto ipotizzare che la versione orale della storia si riferisse ad una lupa e un’agnella. Anzi, considerando la preminenza, nascosta ma intuibile, del soggetto in primo piano, a un’agnella e una lupa.
In quest’ottica appare chiaro che l’eccesso di sintesi, dovuto alla preoccupazione di interpretare in maniera univoca una vicenda non del tutto lineare, ha reso sfumate le caratteristiche dei soggetti rappresentati e ha confuso un po’ le acque. Occorre, quindi, prioritariamente, restituire spessore alle figure in questione.

L’agnella. Il termine non sembra qui utilizzato in riferimento ad un’età anagrafica, perché il tutto risulterebbe inconsulto, quanto piuttosto a una tipologia psico-fisica e a vezzi comportamentali accentuati. Negandosi la possibilità che con ‘agnella’ si individui una pecora giovanissima e impubere, non resta che accettare l’interpretazione di chi individua nella categoria di riferimento un esemplare con caratteristiche femminili accentuate, morbidezza di movenze, attitudine a suscitare tenerezza, taglia piccola ma proporzionata e del tutto priva di spigoli, ricci chiari e curati, bocca distraente, sguardo serio e pensoso con pretese di innocenza.

La lupa. Analogamente, un’iconografia accreditata – se pur rovinata da iperfetazioni successive demenziali, tipo appendici gemelliformi – propaganda la lupa femmina come una scapigliata selvaggia, dal pelame folto e disordinato, non incline alla mondanità, dedita a isolate pazzie al chiaro di luna, di stazza robusta per niente delicata, incapace di smancerie come di serietà comportamentale, con lo sguardo perennemente orientato tra il sarcasmo (lupa etrusca) e la pretesa ferocia (lupa appenninica).

Se si accetta l’ipotesi proposta – che si sia in presenza di due esemplari di genere femminile -, possono però considerarsi come non contraddittori due punti di riferimento: l’appartenenza delle due a tipologie del tutto asimmetriche e l’indicazione, sottolineata, che un esemplare rappresenti il cibo naturale dell’altro.
Poste queste premesse, la storia probabilmente si dipanava in altro modo.

L’agnella che, pur individuabile nelle caratteristiche sopra descritte, era abbondantemente provvista dell’ostinata tenacia della specie e, una volta identificato un desiderio, lo perseguiva con determinazione anche a costo di finire in un burrone, ogni tanto, sul far del tramonto, recandosi a bere nel ruscello, intravedeva la lupa. Tra il lusco e il brusco, perché la lupa, selvatica e scontrosa, beveva in tutta fretta e, ignorando la pratica del chiacchiericcio serale, scappava via in faccende tutte sue solitarie.

L’agnella ascoltava pettegolezzi sulle scorribande notturne della lupa, si incuriosiva, tentava approcci più o meno velati, ma non riusciva ad attirarne l’attenzione. Ogni volta che studiava un nuovo espediente per trattenerla, il tentativo cadeva nel vuoto. La lupa non si accorgeva dei suoi maneggi. Si limitava a risolvere le faccende per cui era venuta e, senza porsi alcun problema di forma, spariva per qualche suo incontro segreto sotto la luna.

L’agnella non era abituata all’indifferenza e non intendeva subirla. Le sembrava un’onta intollerabile. Si arrotolava un riccio pensosamente e, senza parere, si organizzava. Con metodi indiretti, visto che l’approccio frontale non sembrava produrre risultati. E studiava come contrastare le lupesche manie lunari con strategie mirate a lungo termine.
In un primo tempo si era limitata ad aumentare la frequenza dei passaggi vicino al ruscello. Poi, con un sussulto di intolleranza, che aveva rischiato di distruggere la sua facciata di controllo e riservatezza, era passata ad un approccio più ravvicinato, piazzandosi quasi stabilmente a portata di sguardo della lupa.

La lupa, che non era una volpe, non aveva capito niente. La prima volta si era detta: “Guarda, vicino al ruscello c’è un’agnella”. Ed era un’osservazione distratta.
L’agnella si era data da fare, spazzolandosi i ricci, accentuando la calma e il controllo – per non turbare la lupa con gesti inconsulti – e sfruttando la complicità del tramonto e dello sguardo innocente.

La lupa se l’era trovata davanti, sulla roccia più alta a picco sul torrente. Composta, seria, tenera, nella cornice di un tramonto languente. E si era detta: “Guarda, la solita agnella”. E non era un’osservazione distratta.

L’agnella si era trattenuta a stento dal perdere la pazienza. Aveva guardato la lupa scapparsene via con la sua falcata goffa, ululando di scherzi con la luna, di corse isolate, di risse, di amori, e le era venuta la tentazione di occuparsi d’altro. Per un attimo un guizzo incontrollato di insofferenza le aveva mutato lo sguardo, velandone l’innocenza. Poi aveva deciso che ne andava del suo orgoglio e si era pazientemente costretta a intessere una nuova strategia.

E la lupa, arrivando al torrente, aveva avuto la visione, sfumata dalle ombre serali, di un morbido intreccio di malinconia pensosa e di arrendevolezza. Aveva scontrosamente distolto lo sguardo e si era chinata verso l’acqua per bere. E, bevendo, si era trovata a fissare, scomposta e ricomposta in mille frammenti imprecisi e ammiccanti, una malinconica, pensosa, morbida, immagine d’acqua. E si era perduta. “Presa – disse l’agnella con divertita malizia, impacchettandole nella rete – la caccia alle lupe sta diventando così elementare che quasi mi annoio”.

Morale: l’innocenza presunta nasconde insospettate simulazioni e tra agnelle e lupe è chiarissimo quale sia la specie pericolosa.

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