“Cos’è la felicità per te ?”

contributo di Simonetta Spinelli per il quaderno i 5finesettimanadipolitica dell’Udi, maggio 2010

“Cos’è la felicità per te ?” Mi pone la domanda con la sua aria tranquilla Pina, come se mi chiedesse se voglio lo zucchero nel caffè e non mi invitasse ad una riflessione politica. L’amicizia é un peso – penso tra me e me – quella politica una iattura. Ma tant’è.

Mi si fa il vuoto nella testa. Rintracciare la felicità in un periodo in cui la volgarità si fa costume e imbarbarisce i rapporti sociali, e l’omologazione al ribasso é la regola, mi sembra impresa titanica al di fuori di una connotazione molto intima: dopo mesi di assenza e di e-mail e telefonate veloci sta tornando a Roma la mia compagna. Ma riflettere che il privato è l’unica cosa che mi rende felice mi fa montare la rabbia e mi restituisce una energia che si è opacizzata. E allora penso che per me felicità  è essere ancora capace di rabbia.

Quando ero un’adolescente stritolata tra il delirio di onnipotenza e la mancanza di strumenti per governarlo, mi dicevo – con rabbia – “contro di me non ce la potranno fare”. Riuscire a provare ancora oggi rabbia per le discriminazioni, l’incultura generalizzata, il machismo ossessivo e ossessionante, la violenza, mi fa ricordare che, almeno in parte, e grazie a donne che con me hanno pensato, lottato, che mi hanno costretto – e mi costringono – a non essere imbecille, uno spazio di libertà  si é salvato, e non si arrende e fa barriera contro la tentazione di lasciarsi andare ad un quieto vivere senza domande, o senza speranza di risposte. La rabbia  è la marcia di riserva che continua a farmi funzionare, anche quando mi sembra che ogni azione politica – nel senso di tesa a costruire una società civile civilizzata – non sia altro che cercare di volare senza ali. La rabbia é le mie ali e  mi rende felice.

La rabbia impedisce la nostalgia. Il cullarsi nel ricordo di ciò che é stato, marmorizzandolo in una dimensione mitica,  in cui tutto si é giocato, si é vinto e si é perso. Un tempo immobile che non contempla evoluzioni, perché ogni evoluzione appannerebbe la dimensione mitica del ricordo.

La nostalgia uccide la politica, perché non ci possono essere comunanze di pensiero e di intenti tra donne che vivono ingessate nel ricordo di un clima culturale e politico che giudicano irripetibile – come é irripetibile la giovinezza – e che considerano con sufficienza tutto ciò che si tenta di nuovo e di diverso per contrastare la redistribuzione dell’ingiustizia che gli eventi storico-economici producono, e le giovani generazioni strette tra i problemi del presente e l’irrilevanza nella quale si sentono ridotte perché sono nate troppo tardi per vivere il ’68, il femminismo, escluse quindi per semplici dati anagrafici dai mitici anni ’70. E questo sembra far dimenticare una delle grandi lezioni del femminismo stesso, che aveva coalizzato problemi e rabbia di generazioni diverse – ho vissuto, pensato, sognato con donne dell’età di mia madre e con donne giovanissime – per farne un cuneo contro l’immobilismo misogino imperante  e aveva ricercato, con pazienza e ostinazione infinite, scritti e tracce delle donne del passato per ricostruire genealogie che rappresentassero ponti in un percorso proiettato verso il futuro.

Al contrario della nostalgia, che implica rassegnazione, la rabbia politica costruisce futuro. Perché mi fa pensare che, finché sarò viva, la mia rabbia farà rete con la rabbia di altre donne – non importa di quali generazioni – insofferenti del clima razzista, intollerante, falsamente democratico in cui siamo immerse. E che quando la mia generazione sarà sparita ci sarà forse qualcuna che – come abbiamo fatto noi – andrà a cercare tracce sepolte di una rabbia che sentirà, nella sostanza, simile alla sua, e con strumenti diversi,  adeguati al suo tempo, andrà a costruire il suo  percorso di ricerca di libertà.

Al contrario della nostalgia, la rabbia mantiene nel presente, nel qui e ora, impone di trovare strategie, alleanze, modalità politiche adeguate ad una realtà socio-economica globalizzata che é in continuo mutamento. Impone di pensare e di pensarsi al di là degli schemi tradizionali, impone di inventare o di utilizzare nuove forme di comunicazione e  nuove modalità di condivisione.  E forse, se non subisce involuzioni autodistruttive e diventa la spinta della passione politica, proprio la rabbia può rappresentare un primo momento di condivisione.  Per questo sentirmela ribollire dentro mi rende, a volte mio malgrado, felice.