Le non-donne

LE NON-DONNE DI MONIQUE WITTIG [1]

“[Esse] Dicono che sanno cosa insieme significano” : è una delle frasi di Monique Wittig, riferita alle Guerrigliere[2]. Ed esprime un pensiero dichiaratamente politico. Identifica un insieme di guerriere, ognuna consapevole della sua singolarità, che scelgono di essere una collettività che pensa su di sé e in questo pensarsi si significa attraverso coordinate proprie. E’ una delle tante frasi che si intrecciano nelle opere di Wittig, decostruiscono immagini e storie prefabbricate e giocano a rimetterne insieme i frammenti disegnando altri racconti, altri percorsi possibili. Percorsi che appaiono insensati nella logica codificata, perché rispondono ad una logica altra, che nasce dal quel significarsi insieme e dà origine ad un altro tessuto narrativo.

Questo lavoro, che è letterario perché politico, in quanto la costruzione di sè come soggetto politico deve necessariamente inventare le parole con le quali dirsi, è quasi del tutto sconosciuto. Wittig è stata – ed è – lo scandalo del movimento femminista quasi unicamente per la frase finale di The Straight Mind[3], un saggio breve che terminava con il ben noto “Le lesbiche non sono donne” e sarà seguito da un altro scritto-bomba dal titolo polemico di Non si nasce donna[4].

Negli articoli incriminati Wittig afferma, riallacciandosi alle teorizzazioni del femminismo materialista francese[5], che l’eterosessualità, fondata sull’oppressione delle donne, è un regime politico che sottende ogni struttura di potere e informa a sè ogni discorso, filosofico, scientifico, antropologico, psicanalitico. “Come a priori dato in ogni scienza, il pensiero eterosessuale sviluppa un’interpretazione totalizzante della storia, della realtà sociale, della cultura, del linguaggio”[6]: strutturale al sistema eterosessuale è mascherare i conflitti di interesse, che potrebbero minarlo, ponendo la categoria dell’altro, del diverso, di quello che è in sé, ontologicamente, inadeguato al codice e quindi necessita di controllo: il dominato (la donna, lo schiavo, i colonizzati). Ogni volta che una lesbica rompe il contratto eterosessuale incrina sistemi pretesi universali, introduce nuove conoscenze e prospettive, inventa un linguaggio, provoca imprevedibili ripercussioni a livello sia sociale che culturale. In quest’ottica, la lesbica non è più l’altro dominato, identificato dal sistema di dominio come donna. Rimanere all’interno delle categorie di sesso uomo/donna (come fa parte del femminismo enfatizzando la differenza biologica) significa per Wittig ribadire che uomini e donne sono gruppi naturali, là dove l’esistenza stessa delle lesbiche evidenzia che sono il risultato di una manipolazione ideologica, che investe corpi e pensieri per farli corrispondere ad un’idea di natura prefissata, in modo da interpretare l’oppressione come biologicamente, prima che storicamente, determinata. Non mettere in discussione il sistema delle categorie di sesso, sia pure ai fini di una reazione politica (ad esempio sottolineare il valore di caratteristiche biologiche delle donne in contrapposizione al maschile, come viene teorizzato anche da alcuni gruppi lesbici), equivale per Wittig a naturalizzare la storia e i fenomeni sociali che sottendono ogni forma di oppressione, quindi implicitamente ammettere l’impossibilità del cambiamento[7]. Al contrario – scrive Wittig – “donna” e “uomo” sono costruzioni politiche e ideologiche, funzionali alla struttura di dominio, che mascherano il conflitto di interessi tra due classi, le donne e gli uomini, ambedue prodotto di relazioni sociali. Classi che hanno ragione di esistere solo perchè esiste il conflitto, e che la composizione del conflitto abolirebbe. Sfuggendo alla relazione sociale particolare con un uomo – e quindi alla costruzione ideologica codificata proprio da questa relazione – la lesbica diventa transfuga della sua classe. Non è più una donna, come gli schiavi neri che fuggivano dalle piantagioni non erano più schiavi.

Le polemiche sulla teorizzazione di Wittig – o meglio sulla frase che la riassume, spesso presa nel suo significato più semplicistico di mera provocazione – dilagano con un effetto onda. Nel 1980, la pubblicazione del saggio porta allo scoperto in Francia le difficoltà di una politica unitaria tra femministe lesbiche ed eterosessuali. Le une, decise a fondare un movimento politico basato sul lesbismo per affermare la loro visione del mondo, e mettere in discussione l’eterosessismo anche nelle sue manifestazioni femministe, sono accusate dalle altre di voler dividere il movimento e di settarismo separatista. La polemica porta prima alla scissione della redazione, poi alla chiusura di “Questions Féministes”, testata storica del femminismo radicale, e alla fondazione di un nuovo periodico, “Nouvelles Questions Féministes”, dal quale le lesbiche politiche sono escluse. Nello stesso tempo, Wittig e il lesbismo radicale in essa identificato, sono oggetto di attacchi, sia pure da ottiche diverse, da parte di Kristeva, Cixous e Irigaray[8].

L’opposizione è così compatta che Wittig decide di lasciare la Francia e raggiungere gli Stati Uniti. Approdate in “Feminist Issues”, le sue teorizzazioni  sembrerebbero trovare un clima più favorevole, dal momento che nel femminismo statunitense, fin dalle origini, le divisioni tra etero e lesbiche sono un fatto compiuto e la realtà politica dei gruppi femministi fa i conti con altre separazioni (ad esempio tra donne bianche e donne di colore) che producono analisi diverse perché nascono da storie e percorsi diversi. Ma anche negli Stati Uniti Wittig non ha vita facile. Al suo “Le lesbiche non sono donne” fa la guerra – tra le altre – proprio una lesbica, Adrienne Rich  che, mentre critica il sistema dell’eterosessualità obbligatoria, che definisce un’istituzione politica all’interno del patriarcato “imposta, diretta, organizzata, veicolata dalla propaganda e mantenuta con la forza”, e ribadisce che l’esistenza lesbica “è un atto di resistenza”[9] alla struttura di dominio codificata, arriva poi alla teoria del continuum lesbico. Il rifiuto del lesbismo, anche da parte di alcune femministe, secondo Rich, non è che l’aspetto più evidente di un atteggiamento indotto dall’eterosessualità obbligatoria che reprime ogni tentativo delle donne di riferirsi alle donne (in termini di passione amorosa, ma anche di complicità, di alleanza, di appartenenza), cioè di interiorizzare la soggettività femminile utilizzandola come potenziale sorgente di potere femminile per modificare i rapporti sociali tra i sessi. In quest’ottica, ogni donna che sceglie, all’interno delle sue relazioni sociali, di privilegiare i rapporti tra donne, rientra in una potenzialità femminile liberata che Rich chiama continuum lesbico. Ma esistenza lesbica e continuum lesbico- scrive Rich – non coincidono: se la scelta erotica che non si adegua all’eterosessualità obbligatoria rappresenta una “resistenza” e “ha un nucleo di contenuto politico”, tale nucleo non produce esiti se non si trasforma in “consapevole interiorizzazione di una soggettività femminile”[10]. Per Rich – è chiaro – le lesbiche sono donne.

In Italia Wittig è soprattutto rimossa. E’ una specie di fantasma che appare e scompare: tutte ne hanno, più o meno nebulosamente, sentito parlare; in ogni generazione c’è un gruppo di irriducibili appassionate che ricerca le tracce del suo passaggio; viene lanciata nelle discussioni come una sfida; di lei si ricorda solo che ha scritto da qualche parte che le lesbiche non sono donne. E sembra sempre una cosa nuova.

A questo fenomeno possono essere date varie spiegazioni: nasce forse da problemi di traduzione, dato che poche sue opere sono state tradotte e non nell’ordine in cui le ha scritte.

O dal fatto che in Italia siamo abituate a leggere quello che passa il convento, e il convento Wittig non la passava. O più semplicemente perchè i suoi scritti toccano il nervo scoperto di una contraddizione aperta e poi lasciata cadere, che ogni volta sembra nuova perchè resta irrisolta: come conciliare unità e differenze, e quindi non ricadere in un nuovo dogmatismo monolitico, senza che la differenza sessuale azzeri le differenze e che queste ultime si moltiplichino all’infinito fino a divenire di nuovo inessenziali.

In realtà Wittig – prima di esplicitare la famosa frase – di non-donne ha sempre parlato. Per verificarlo è sufficiente rileggere anche solo i suoi scritti tradotti in italiano: L’Opoponax e Il corpo lesbico, pubblicati per vie ufficiali, Le Guerrigliere, uscito in edizione pirata, e il saggio (non la raccolta di saggi) The Straight Mind, fatto circolare nel “Bollettino” del Collegamento fra le lesbiche italiane. Scritti che sono stati spesso interpretati in maniera univoca, nel loro aspetto meno dirompente, e soprattutto mai discussi collettivamente.

L’Opoponax[11] esce in Italia nel 1966, quando la prima generazione di donne numericamente consistente è approdata nelle università e si è lanciata a testa bassa nell’emancipazione. Di questo percorso personale e culturale fa parte l’appassionamento ad ogni forma di sperimentalismo. Abbiamo incontrato per la prima volta Wittig – e l’incontro è quasi l’annotazione anagrafica che rivela una generazione – perchè il romanzo si avvicina alle esperienze letterarie del nouveau roman, anticipate da Nathalie Sarraute[12], e ne abbiamo apprezzato soprattutto la tenuta di un linguaggio che non ha mai sbavature, che segue la cronaca quotidiana della vita di una bambina come una macchina fotografica che registra luoghi, oggetti, persone disancorandole da valutazioni moralistiche o psicologiche, e restituisce la consistenza di un’infanzia senza sovrastrutture, vista con gli occhi di chi quell’infanzia la vive minuto per minuto, con  occhi che non hanno ancora disimparato a guardare. Un’infanzia non tradotta attraverso parametri culturali, nello stesso tempo primitiva, crudele nella sua logica elementare, appassionata e incurante. Un’infanzia individuata solo attraverso un dato anagrafico: Catherine Legrand.

Riletto negli anni ’70, in un’altra predisposizione mentale, L’Opoponax assume un significato più complesso. Lo sguardo dell’infanzia che tutto registra e affastella senza gerarchie e piani logico-temporali, se non quelli del continuo scorrere del presente e di una curiosità onnicomprensiva, isola a poco a poco una soggettività inconsapevole, ma proprio per questo non ancora regolamentata dal codice. Che costruisce rituali suoi, impermeabile com’è alla logica dei rituali che vede recitarsi intorno, e inventa una storia sua, di magia, di potenza, per un gioco di seduzione che non sa dire e di cui deve inventare le parole. L’opoponax è la parola magica che identifica un essere mitico, “né animale, né vegetale, né minerale”[13], indeterminato, indescrivibile, poco raccomandabile, metafora di ciò che interrompe, eccede la vita di ogni giorno, e non può essere detto con il linguaggio dell’abitudine.  “Dice che Valerie Borge ha mani gambe viso d’un bruno lucente… Dice che è l’opoponax”[14]: il quotidiano viene reinterpretato dalla gerarchia irriducibile della passione. La non-donna di Wittig sembra trovar qui il suo atto di nascita.

Il corpo lesbico[15]  è tradotto in Italia nel 1976, in pieno femminismo, e le lesbiche politicizzate che militano nei collettivi femministi se ne innamorano perdutamente. Perchè Wittig in questo testo stravolge tutto: impone di prepotenza le figure e il linguaggio dell’eccesso, ignorando le convenzioni letterarie e linguistiche, riattraversa generi e strutture sintattiche, costruisce una poetica impensabile per dire l’indicibile: il corpo lesbico è corpo del desiderio di una donna per una donna. Senza mediazioni il corpo lesbico irrompe sulla scena, impudente, inaddomesticabile, non inquadrabile in termini convenzionali: corpo stravolto, smembrato, reinventato e poi ancora stravolto. La non-donna non è solo seno, vagina, glutei; è pelle, muscoli, ossa, struttura, è organi interni ed esterni, è umori, è cellule e tendini, è scaglie, fibre, arterie, midollo. Il percorso d’amore è un percorso epico in cui tutto va scoperto, risignificato, inventato in aderenza al desiderio che lo muove. Il soggetto di quel desiderio e di quel percorso è a sua volta un soggetto che accetta il rischio della disintegrazione per potersi ricostruire come corpo desiderante: j/e, né femminile, né maschile, perché il femminile e il maschile sono il risultato di una convenzione sociale che il corpo lesbico, nella sua ricostruzione di sé per sé, cancella e rende insensato.

Se Il corpo lesbico ha coinvolto nella fascinazione gran parte delle femministe che vi hanno letto, sia pure da ottiche diverse, una restituzione di orgoglio, l’interpretazione che ne è stata data ha segnato tra lesbiche ed eterosessuali l’inizio di una frattura che si sarebbe approfondita molto più tardi. Ma che già era visibile nei primi commenti. Per le donne eterosessuali, come appare chiaramente nella nota introduttiva di Elisabetta Rasy, premessa all’edizione italiana del Corpo lesbico, fondante in Wittig è “il recupero politico del sociale che la donna vive all’interno del proprio corpo, territorio di colonia sconosciuto e ostile”, o la metafora del viaggio solitario, puntualizzato dalle “stazioni anatomiche del corpo lesbico”, verso la riappropriazione di sè e l’uscita dalla logica dell’oppressione.

Per le lesbiche – Teresa de Lauretis lo dirà per tutte negli anni Ottanta in altro contesto[16] – il corpo lesbico segna il percorso di “una fatica d’amore”, una ricerca del desiderio che, proprio perché è desiderio di una donna per una donna, costruisce una diversa economia erotica. Ma perché questa economia erotica si instauri non è sufficiente una donna. E’ necessaria una lesbica, cioè una donna amante/amata, desiderante/desiderata da un’altra donna. Consapevoli l’una e l’altra del desiderio e motivate, proprio da quel desiderio, a costruirne il linguaggio e la pratica, a “riconoscerlo in un’altra semiotica”. Il soggetto smembrato/rimembrato è soggetto di una relazione sessuale e sessuata e la “fatica d’amore” , ironica e cruenta, è il percorso della sua  ricerca di senso.

I termini per un approfondimento e un confronto sulla sessualità, a partire dalla materialità dei percorsi, erano tutti lì, nel corpo lesbico che non corrispondeva più al corpo culturalmente e socialmente definito “donna”. Ma nessuna ha aperto quel confronto. Né lesbiche, né eterosessuali, perché il sentirsi in un’appartenenza comune sembrava in quel momento politicamente prioritario. Così insieme al discorso sulla sessualità è stata rimossa Wittig.

Agli inizi degli anni ’90, quando il Bollettino del CLI, che circola soltanto tra lesbiche, pubblica The Straight Mind, nessuna ne parla, perchè tra lesbiche ed eterosessuali si è chiuso anche lo spazio della polemica. La frase del suo saggio, scollegata dal contesto teorico in cui è maturata,  diventa quasi solo uno slogan che le giovani lesbiche lanciano come una sfida, ogni volta che un dibattito tra donne sembra volerle respingere nell’irrilevanza. Wittig sembra essere, ancora una volta, più citata che conosciuta[17].

Per sfida (uscire dalla scelta obbligata tra la politica dell’irrilevanza del lesbismo e la richiesta di diritti civili), e per appassionamento a uno dei pochi testi in cui una lesbica può riconoscersi senza mettere tra parentesi la propria vita, viene pubblicato nel 1996, in edizione pirata e artigianale, Le Guerrigliere, scritto nel 1969. In Le Guerrigliere viene attuato l’espediente linguistico inverso rispetto a quello già sperimentato in L’Opoponax per  annullare la sottolineatura del genere. Nel primo testo l’uso del pronome indefinito (in francese on) permetteva la dislocazione dei personaggi del romanzo al di fuori della divisione sociale dei sessi. Wittig scrive che l’utilizzazione di on “è stata la chiave che … ha permesso l’accesso a un linguaggio di cui nulla turba l’uso e l’esercizio (soprattutto non il genere), come avviene nell’infanzia quando le parole sono magiche…”[18].  In Le Guerrigliere il soggetto diventa elles, femminile plurale  che assume il segno di soggetto umano assoluto scalzando il maschile imposto dal linguaggio codificato. Ma tale operazione non va nel senso della femminilizzazione del mondo, che a Wittig  suscita orrore come la mascolinizzazione, è un tentativo “di rendere le categorie di sesso obsolete nel linguaggio”[19].

Le Guerrigliere è in apparenza il testo più facile di Wittig. In apparenza perchè Wittig già qui, come farà altrove (in Virgil, non[20], mai tradotto in italiano, gioca persino con Dante), riattraversa con dissacrante ironia le strutture narrative note, dal mito all’epopea, dalle tradizioni popolari ai resoconti storici, al romanzo d’azione.

E’ la cantora di una comunità di ‘resistenti’, guerriere che si muovono insieme e si raccontano come in un coro di tragedia greca: “[Esse] Dicono che non hanno bisogno di simboli o miti…”[21], “[Esse] Dicono che essendo portatrici di vulve conoscono ciò che le caratterizza…”[22], “[Esse] Dicono ti hanno tenuta a distanza, ti hanno mantenuta, ti hanno innalzata, costituita in una differenza essenziale…”[23], “[Esse] Dicono che la guerra è un affare di donne…”[24], “[Esse] Dicono…”. La collettività predomina sulla singolarità, l’appartenenza sulla divisione, ma elenchi di nomi femminili intervallano le pagine e sembrano la premessa di quanto verrà detto in seguito nei saggi: le lesbiche fuggono dall’eterosessualità ad una ad una come gli schiavi neri dalle piantagioni. E nella fuga perdono le loro caratteristiche di “donne”.

Non sono più le vittime sacrificate, inchiodate ad un ruolo che le vuole pacifiche, assoggettate, passive, diventano una collettività per necessità e per scelta. Una collettività che può essere cruenta, feroce, dissacratoria, ma anche narcisista e autoreferenziale, e poi di nuovo capace di rimettere in discussione anche quanto nel percorso rischia di diventare un contro-mito.

Uno stesso tema attraversa tutta l’opera di Wittig: uscire dal codice significa smembrarsi/ri-membrarsi come corpo sociale quanto come corpo desiderante. In quest’ottica anche i contro-simboli (il matriarcato, il materno, la donnità, le derive essenzialiste del femminismo e del lesbismo) vanno stravolti e sottoposti a verifica. Da qui, e non solo da una frase provocatoria, nasce lo scandalo Wittig.

Simonetta Spinelli

giugno 2002

 

[1] Intervento al 1° Convegno sulla Letteratura Lesbica, Roma , Casa delle Letterature, giugno 2002

[2]  M. Wittig, Les guérillères, Paris, Editions de Minuit, 1969 [trad.it. di Ana Cuenca, Le guerrigliere, Bologna, Autoproduzione delle Lesbacce incolte, 1996, p. 74]

[3]  “The Straight Mind”, intervento letto alla Modern Language Association Convention nel 1978 a New York, poi pubblicato in francese in Questions Féministes, n. 7 (febbraio 1980), e in inglese in Feminist Issues, n. 1 (estate 1980) [trad. it. di R. Fiocchetto, in Bollettino del CLI, a. IX (febbraio 1990)]

[4]  “On ne Naît pas Femme”, in Questions Féministes, n. 8 (maggio 1980), poi in inglese “ One Is Not Borne a Woman “, in Feminist Issues, I,2 (inverno 1981)

[5] Nicole-Claude Mathieu, Christine Delphy, Colette Guillaumin, in particolare

[6] “The Straight Mind”, trad. it. cit.

[7] “On ne naît pas femme”, cit.

[8] Sulle polemiche di cui sopra cfr. le prefazioni di Louise Turcotte e Marie-Hélène Bourcier alla raccolta dei saggi di Wittig pubblicata in Francia (La Pensée Straight, Paris, Balland, 2001). I saggi, quasi tutti pubblicati in inglese negli Stati Uniti tra il 1980 e il 1985 (solo uno nel 1990), sono tradotti in Francia nel 2001. Le date non appaiono qui casuali.

[9] A.Rich, La Contrainte à l’hétérosexualitée et l’existence lesbienne, in Nouvelles Questions Féministes, n. 1 (marzo 1981), pp. 31 e 41

[10]  A. Rich, Eterosessualità obbligatoria ed esistenza lesbica, in Nuova DWF , n. 23-24 (1985), p. 39 [Trad.it. di M.L. Moretti di una versione modificata nel 1985 del saggio citato nella nota precedente]

[11]  M.Wittig, L’Opoponax, Paris, Editions de Minuit, 1964 [trad.it. di C. Lusignoli, Torino, Einaudi, 1966]

[12] Nathalie Sarraute, di origine russa ma vissuta in Francia,  per il suo primo libro Tropismes, uscito quasi inosservato nel 1939, e ripubblicato nel 1957 dalle Editions de Minuit, è considerata l’anticipatrice della scuola del nouveau roman, poi teorizzata da Alain Robbe-Grillet, corrente letteraria che tende a modificare la tecnica narrativa del romanzo, eliminando qualunque annotazione psicologica dei personaggi nel tentativo di fornire un’immagine oggettivata di un universo estraniato e estraniante.

[13]  M.Wittig, L’opoponax, cit., p. 139

[14]  Ibidem, p. 198

[15]  M. Wittig, Le corps lesbien, Paris, Editions de Minuit, 1973 [trad. it. di C. Bazzin e E. Rasy, Milano, Edizioni delle Donne, 1976]

[16]  T. de Lauretis, Sexual Indifferences and Lesbian Representation, in Theatre Journal, XL,2 (1988), pp. 155-177 [trad.it. Differenza e indifferenza sessuale, Firenze, Estro, 1989]

[17]  Fa eccezione il saggio di M. Wittig, The Straight Mind,  inserito tra i materiali in discussione nel dibattito sul movimento lesbico tra il gruppo Laboratorio di critica lesbica e la redazione di I Quaderni Viola. cfr. I Quaderni Viola, n. 4 (E l’ultima chiuda la porta), 1996

[18]  M. Wittig, La Marque du genre, in La Pensée Straight, cit. p.136 . I edizione in inglese :The Mark of gender, in Feminist Issues, n. 2 (autunno 1985)

[19]  Ibidem, p. 137

[20]  M. Wittig, Virgil, non, Paris, Editions de Minuit, 1987

[21]  M. Wittig,  Le guerrigliere, op. cit., p.21

[22]  Ibidem, p. 24

[23]  Ibidem, p. 90

[24]  Ibidem, p. 114