L’uva e la volpe

L’uva se ne stava beata al sole ad organizzarsi un’abbronzatura scientifica. Pacatamente orientava i tralci, sfruttando il minimo alito di vento, perché non le facessero ombra, e quasi tratteneva il respiro per evitare che qualche increspatura, sfuggita al controllo, rovinasse la perfezione del tutto.

Rilassata, sembrava riverberare i raggi solari con una appena accentuata allegria, tutta interna, segreta, di cui le restava l’eco nella curvatura maliziosa dei chicchi, nel contrasto tra la spolverata di pulviscolo sabbioso (protezione n°8), cautamente sparso a difesa, e una lucentezza improvvisa che qua e là sfolgorava tra le grandi foglie venate. Correnti zuccherine le vagavano placide sotto la pelle e le provocavano un piacere diffuso, quieto, che blandiva i pensieri e li sminuzzava.

L’uva trovava che l’estate fosse un’invenzione geniale e il sole un sostituto divino delle lampade abbronzanti. E si girava con infinitesimali spostamenti: appena più a destra, dieci minuti, poi altri dieci minuti sulla curvatura sud, e ancora, orientandosi con più fatica, per non sempre grandiosi risultarti, esponendo graziosamente al sole la sua tenera superficie abitualmente rivolta a nord. E organizzava una pantomima tutta sua, sbirciando i chicchi più nascosti e raccontandosi che no, la tonalità non era perfetta, mancava quel tocco particolare, e disperandosi su non si sa bene quale refrattarietà degli acini posteriori ad assorbire adeguatamente la luce.

Insomma, l’uva, intenta nel gioco singolare di auto-sedursi, si divertiva come una matta.

Un maschio di volpe, passando di lì casualmente, per nulla casualmente si fermò ad osservare gli armeggi scientifici dell’uva ed esultò:

“È matura!”

E subito dopo, con logica assolutamente consequenziale: “È mia!”

Osservatori esterni, del tutto attendibili perché di provata parzialità, se non nei confronti della specie, sicuramente del genere, hanno con dovizia di particolari raccontato di quali mattane sconclusionate e performances para-sportive si sia dilettato il maschio della volpe sopra citato per raggiungere  l’uva, di che sciagurata e innaturale ritrosia  a farsi acchiappare quest’ultima abbia manifestato, e di quante elucubrazioni filosofiche l’evento complessivo abbia prodotto, non solo nell’immediato. Inutile, quindi, dilungarsi su particolari già ampiamente illustrati, dai quali si deduce soltanto che i maschi delle volpi non hanno il senso del ridicolo. Ma questo si sapeva.

L’uva, quando il maschio della volpe se n’era andato, lanciandole come un insulto il fatidico:” È acerba!”, inseguito dal codazzo di telecronisti e stenografi parlamentari con annessi registratori, microfoni e videocamere, non sapeva se ridere o irritarsi. Alla fine aveva deciso che l’irritazione comportava un eccessivo spreco di energie, rovinava l’abbronzatura e favoriva la comparsa delle rughe di espressione. Ed era scoppiata a ridere.

A ridere come ride l’uva. Con una risata che nasceva dal profondo e si spandeva, armonica, comunicativa. E la risata vivacizzava i tralci, le foglie, gli acini, e li restituiva ad una morbidezza tutta nuova.

L’uva rideva. E la sua risata attirava l’attenzione di una volpe, femmina, che vagabondava nei dintorni senza scopo apparente, se non quello di evitare accuratamente ogni maschio di qualunque età, dimensione e peso, della stessa specie (e anche delle altre specie, perché meglio “abundare quam deficere”, soprattutto in ragione del fatto che non sembravano darsi tra i maschi, in natura, differenze significative tali da giustificare eventuali frequentazioni).

Individuata la fonte della risata, la volpe si fermava sotto i tralci in ammirazione. Al sole. E lì, non si sa se per effetto del calore, o di qualche altra sensazione, sentiva il corpo pericolosamente illanguidirsi e perdere contorni. Solo le orecchie conservavano una forma solida.

L’uva era molto soddisfatta degli effetti della sua abbronzatura. Guardava la volpe sciogliersi come un gelato e le nasceva dentro una tentazione maliziosa.

“Vuoi vedere – fantasticava – che riesco a mangiarmela?”

Nulla è rimasto a documentare come sia finita. Ma in certi vigneti gira ancora la diceria che sia pericolosa, per le femmine di volpe, l’uva in fase di abbronzatura.

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